36 – Testo Unico sul Pubblico Impiego – Le osservazioni della Cisl – Funzione Pubblica

Le risorse che si renderanno disponibili con il DPCM e quelle successivamente programmate nel Def non saranno comunque sufficienti a recuperare la perdita del potere di acquisto subita dai lavoratori del pubblico impiego dopo 8 anni di blocchi contrattuali.
Secondo una ricerca del Dipartimento Politiche fiscali della Cisl, condotta sulle dichiarazioni dei redditi dei lavoratori che si sono rivolti nel 2016 ai Caf della Cisl, nel periodo che va dal 2010 al 2015 i lavoratori pubblici hanno subito una contrazione del reddito reale di oltre 7 punti percentuali. Per questo motivo è fondamentale che il Testo unico valorizzi le prerogative della contrattazione collettiva in tutte quelle materie e quegli aspetti che possono concorrere a rafforzare i benefici, diretti o indiretti, connessi con la retribuzione. Considerando i principi di delega che non permettono di tradurre tutti i punti dell’intesa nel decreto legislativo attuativo, occorre comunque costruire nel Testo Unico un “ambiente normativo” idoneo al fine di sfruttare le future opportunità derivanti dall’estensione al settore pubblico delle agevolazioni fiscali per il salario di produttività – previste nel settore privato – e dall’introduzione delle forme di welfare integrativo.
Per realizzare questi obiettivi è necessario rafforzare le prerogative della contrattazione collettiva nella disciplina del rapporto di lavoro pubblico. Ciò è possibile attraverso strumenti e procedure che consentano al sindacato di concorrere alla condivisione degli obiettivi generali e specifici delle pubbliche amministrazioni, condizione necessaria per valorizzare lo sviluppo della retribuzione accessoria collegata all’innovazione e all’efficienza organizzativa e al miglioramento della qualità dei servizi a beneficio dei cittadini.
In particolare, nello schema di decreto legislativo che verrà emanato dal Consiglio dei Ministri Venerdì prossimo, non si ravvisano quegli elementi di svolta nel riequilibrio, a favore della contrattazione, del rapporto fra le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro, per una ripartizione efficace ed equa delle materie di competenza fra legge e contratto.
Nel testo il riconoscimento del ruolo della contrattazione collettiva nella valorizzazione dei diversi apporti individuali all’organizzazione e nella misurazione della performance, è limitato dall’assenza di elementi di condivisione dei contenuti dell’organizzazione del lavoro. Si incide sulle modalità e sui criteri di valutazione relativi alle prestazioni del lavoro nelle amministrazioni, senza poter modificare l’ambito in cui esse si svolgono e senza poter incidere sugli elementi che concorrono a determinare la produttività collettiva.
In assenza di questi elementi non si realizza quella discontinuità con il passato promessa dall’intesa.
In particolare:
• Viene prevista la derogabilità delle disposizioni di legge, regolamento o statuto, che disciplinano i rapporti di lavoro da parte dei contratti o degli accordi collettivi nazionali, nelle materie affidate alla contrattazione collettiva dal medesimo Testo Unico (art. 40, comma 1). Siamo riusciti ad ottenere un impegno del Governo ad accogliere il principio che i contratti possano derogare anche alle leggi precedenti, nelle materie indicate dal decreto. Tuttavia, gli spazi di manovra della derogabilità, da parte della contrattazione, risultano ancora limitati se non si chiariscono i contenuti e la portata dall’art. 40, comma 1 (art. 2, comma 2, D. lgs 165/2001).
• Il fatto di assegnare agli organi preposti alla gestione, in via esclusiva, la direzione e l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici, nonché le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, limita la possibilità della contrattazione collettiva di incidere sugli aspetti inerenti all’organizzazione del lavoro e alla disciplina del lavoro pubblico. La sola informazione ai sindacati non è sufficiente (art. 5, comma 2, D. lgs 165/2001).
• Vengono introdotti nuovi elementi di valutazione della performance ed è positivo il superamento delle c.d.: “Pagelline”, ma andrebbe recuperato un ruolo della contrattazione collettiva nella definizione degli obiettivi generali e specifici di ogni pubblica amministrazione (art. 5, D.lgs 150). E’ necessario prevedere il coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, quale presupposto per l’accesso futuro ai benefici fiscali di cui attualmente possono godere solo i lavoratori del settore privato sui premi di produttività erogati per il tramite della contrattazione collettiva di secondo livello. A titolo di esempio, la disciplina fiscale vigente per i lavoratori privati, prevede che l’ammontare massimo del premio di produttività agevolato fiscalmente (con l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 10% dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali) passa da 3,000 a 4,000 euro in caso di coinvolgimento paritetico delle rappresentanze dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Tale indicazione si intenderebbe soddisfatta nel settore privato in presenza: a) della costituzione di gruppi di lavoro nei quali operano responsabili aziendali e lavoratori finalizzati al miglioramento o all’innovazione di aree produttive o sistemi di produzione; b) di strutture permanenti di consultazione e monitoraggio degli obiettivi da perseguire e delle risorse necessarie; c) della predisposizione di rapporti periodici che illustrino le attività svolte e i risultati raggiunti.
• La preventiva informazione sindacale, nell’adozione degli atti relativi all’organizzazione degli uffici e a quelli relativi all’adozione del piano triennale dei fabbisogni di personale (art. 6, commi 1 e 2, D. lgs 165) non rafforza le prerogative della contrattazione collettiva e non introduce alcun elemento di consultazione effettiva su tali processi.
• Viene attribuita alla contrattazione collettiva l’individuazione e la disciplina delle forme di partecipazione, ma l’esclusione di un ruolo dei contratti negli aspetti gestionali e organizzativi è troppo limitante (art. 9, D. lgs 165)
• si prevede che i contratti collettivi nazionali possano integrare le procedure e i criteri generali per la mobilità (passaggio diretto di personale fra amministrazioni, volontario e non). Il riferimento all’integrazione appare poco chiaro e l’affidamento di materie alla contrattazione rischia di essere teorico, vista la corposità della disciplina legislativa (art. 30, comma 2,2, D. lgs 165/2001)
• viene introdotto il principio di superamento della dotazione organica (art. 6, comma 3, D.lgs 165) a favore del fabbisogno programmato del personale ed in relazione alle assunzioni da effettuare ma non vengono previste forme di partecipazione nella programmazione dei processi formativi e di riqualificazione del personale .
• appare ancora limitata la fonte contrattuale nella scelta delle forme flessibili di lavoro perché espressamente prevista solo per la somministrazione (art. 36)
• è positiva la previsione del percorso di stabilizzazione dei precari, nel triennio 2018 -2020, anche se non è ancora chiaro il periodo di tempo nel quale debbano essere maturati gli anni di servizio (art. 36, comma 5 – quinquies, D. lgs 165/2001)
• si prevede che la contrattazione collettiva disciplini il rapporto di lavoro e le relazioni entro le modalità previste dal Testo Unico ma restano escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici e quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, mentre nelle materie relative alla corresponsione del trattamento accessorio e della mobilità, la contrattazione collettiva viene consentita solo nei limiti previsti dalla legge. Lo spazio nella disciplina del rapporto di lavoro rimane dunque troppo limitato perché non incide sull’organizzazione del lavoro (art. 40, comma 1, D.lgs 165/2015).
• si riconosce l’attivazione di livelli autonomi di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dalla programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione, ma si prevede che la contrattazione collettiva integrativa destini, al trattamento economico accessorio collegato alla performance, una “quota prevalente del trattamento accessorio complessivo, comunque denominato”. Abbiamo chiesto che il riferimento alla “prevalenza” sia eliminato già nel testo adottato dal Consiglio dei Ministri, per evitare che il finanziamento della retribuzione accessoria collegata alla performance sia effettuato tramite indennità e voci del trattamento accessorio oggi non collegato al raggiungimento di obiettivi di efficienza e produttività (art. 40, comma 3 – bis, del D.lgs 165/2015)
• La disciplina dell’atto unilaterale, ovvero la previsione che nell’ipotesi in cui non si raggiunga l’accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l’amministrazione possa provvedere, in via provvisoria sulle materie oggetto del mancato accordo, non tiene pienamente conto dell’intesa del 30 novembre (art. 40, comma 3 – ter del D.lgs 165/2015)
• La previsione che i contratti collettivi nazionali di lavoro debbano introdurre apposite clausole che impediscano incrementi della consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi in cui i dati sulle assenze evidenzino significativi scostamenti rispetto a dati medi annuali nazionali o di settore, risulta in contrasto con quanto previsto dalla lettera c), punto 2 (Parte normativa) dell’intesa del 30 Novembre u.s., che prevede, semmai, un impegno a definire misure contrattuali che incentivino più elevati tassi di presenza. Il criterio, anziché incentivante, rischia di essere esclusivamente antiselettivo, perché penalizza anche i comportamenti e gli uffici “più virtuosi” dal punto di vista delle presenze, visto che si riduce la consistenza complessiva delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori. (Art. 40, comma 4-bis).